I giovani conduttori dello startup show business

Oggi parlerò dei veri protagonisti dello startup show business italiano. I giornalisti della carta stampata. In particolare i giornalisti esperti di innovazione e startup. Da veri esperti, infatti, hanno tutti i capelli bianchi come me. E come Pippo Baudo. Incredibile ma anche Lui adesso ha i capelli bianchi.

Molti di loro hanno tessuto le lodi della new economy e ne hanno anche subito l’onta (professionale) ma sono pur sempre riusciti a sopravvivere nascondendosi all’interno di qualche redazione.  Alcuni di loro si sono anche distinti tra i detrattori alimentando l’idea che la new economy fosse una bolla.  Ora che è chiaro a tutti che la vera bolla è stata ben un’altra (fatta di mattoni, non di idee e innovazione) sono tornati in auge come anche le startup; le stesse che allora tutti chiamavano dotcom company. Ma ve la ricordata la dedotcommizzazione dell’economia e della stampa a partire dal 2001? Dire web, dotcom, internet era diventata un’onta. Mettere nel CV un qualsiasi ruolo in una dotcom un onta indelebile che ti condannava all’oblio e alla fame.

Tempi passati. Ora tutto è molto diverso da allora. Talmente diverso che mi sembra tutto uguale. Ora, infatti, nessuno parla di bolla ne di balle e questi signori sono effettivamente i Pippo Baudo del sistema e come lui credo siano anche i più pagati nello show. Avere uno come conduttore può costare qualche migliaia di euro a seconda delle “capacità” istrioniche del soggetto o semplicemente della sua fama di “so tutto io e mi rispondo alle domande da solo”.

Digressione.. E chi credete che paghi tali conti? Chi pensate abbia interesse a sollevare tutto questo polverone? Forse chi ha da nascondere qualcosa di ben meno spettacolare e festoso? Fuoco, fuochino.. Forse qualcuno che ha sportelli ma non è un automobile? Scotta!!! Accidenti.. O qualcuno che vive di licenze contingentate dai politici? Ustione grave!! Ora basta. Fine della digressione.

Anche io, come loro. sto diventato noioso e ripetitivo, quindi, torniamo ai miei amici giornalisti di grido. Loro sono veramente bravi a scrivere e a intrattenere il pubblico. Sono anche ottimi motivatori anche se mi pare un po’ facile farlo avendo lo stipendio da giornalista. Spesso fanno un sacco di battute ad effetto che riescono a rendere divertenti anche dei noiosissimi e ripetitivi convegni. E delle ancora più noiose tavole rotonde in cui decine di ospiti non fanno altro che ripetere a memoria i contenuti dell’ultimo comunicato stampa che gli ha passato la propria PR.

Ma non è questo che mi meraviglia ne mi ienisce (dal verbo ienarare). In un epoca di cross medialità non si capisce perché un giornalista non debba anche essere un bravo conduttore televisivo o di eventi. Sarebbe come pretendere che un prete non sia un represso. Ciò che mi lascia del tutto basito è che scrivano libri. Libri di carta, di carta!!! E non dei romanzi; ma dei libri sull’innovazione.

Non ci riesco a credere ma hanno veramente il coraggio di scrivere qualcosa che appena pubblicato è già vecchio. Che è vecchio in tutto. Che non ha nulla di innovativo. Che distrugge gli alberi (ma gli innovatori non sono sempre ambientalisti, democratici e vegani?). Nonostante abbiano il proprio blog, mica come quelli dei disoccupati in cerca di biglietti gratis ma roba seria e sempre aggiornata con milioni di followerssss. Perché lo fanno? Per i soldi? Non ci credo? Per il prestigio? Più di essere meglio di Pippo Baudo cosa possono sperare di diventare? Perché? Perché?

A sentir parlare di libri sull’innovazione mi viene sempre in mente un clamoroso caso editoriale risalente agli anni 90 (1995 per la precisione). Non si tratta di uno dei tanti libri scritti da uno dei guru dell’epoca (vi praticavo anche io nella professione dell’indovino). Ma di un libro scritto da uno serio, da Bill Gates in persona: si chiamava “la strada che porta a domani”. In quel libro non c’era un solo accenno ad Internet. Non vi era nessun accenno ad Internet. Nel 1995!!!

Come è possibile. Non avevano fatto in tempo ad aggiornalo? Tra scriverlo, correggerlo, stamparlo e distribuirlo era nato il fenomeno Internet ma loro non se ne erano accorti? erano troppo impegnati?… Non se ne era accorto nemmeno Bill Gates o meglio lui si… ma ancora sperava di soffocarlo con la sua MSN. Ve la ricordate? Una bella rete proprietaria molto meglio di Internet ma assolutamente proprietaria. Un pò come oggi solo che al posto di google allora c’era Microsoft. Allora, bisogna dirlo, si giocava un po’ più a carte scoperte di oggi. Allora c’era ancora la DC (intesa come Democrazia Cristiana) e i Comunisti e quindi si potevano facilmente individuare i buoni dai cattivi. A te la scelta.

Ebbene, con un tale precedente come fanno questi signori a pensare di scrivere ancora un libro sull’innovazione?  Si credono meglio di Bill Gates? Ma perché invece che scrivere sull’innovazione che non ti aspetti (ma se te l’aspettassi che innovazione sarebbe? Boh) non scrivono “dell’inculata che non ti aspetti”? quella che ti tirano gli investitori con i loro patti parasociali, gli statuti modificati, i contratti d’investimento e le milestones farlocche? Questo sì che sarebbe un libro che non passerebbe mai di moda e resterebbe nella storia per la sua eterna validità. Ma soprattutto sarebbe un libro utile, anzi indispensabile,  per qualsiasi startupper. Proprio gli quegli startupper di cui sono tanto amiconi in nostri cari giornalisti. Potrebbero farlo in formato tascabile con linguette segnala inculata. Ed anche con dei test di auto difesa.

Invece no! Preferiscono scrivere libri sull’innovazione. E preferiscono straparlare di innovazione che loro stessi non sanno fare. Infatti continuano ad usare format di comunicazione vecchi come lo sono i comizi dei politici o il teatro greco. In piazza per di più. E perché non da un balcone? O in un circo. Accorrete gente. Accorrete ad ascoltare il verbo dell’innovazione! Vi stupiremo con effetti speciali e fenomeni da baraccone. Accorrete a vedere lo startupper dell’anno, quello storpio che è fallito e la donna cannone che ha fatto una way in soli 6 giorni dallo sparo dal notaio.

Per me tutto questo è un mistero. Fare il giornalista deve essere un mestiere meraviglioso e invece fanno i presentatori. Ma perché non si mettono a fare una bella indagine per capire quali interessi si celano dietro lo startup show business? Troppo rischioso? Paura della mafia? Troppo noioso? Paura di addormentarsi nel leggere i numeri? Troppo compromettente? Vedere i tuoi idoli nudi mentre fanno orge con i soldi pubblici?

Gabanelli, GABANELLI!!! Aiutaci tu. Falla tua una bella indagine sullo startup show business. Dicci come stanno le cose.

Sono andato completamente fuori tema.  Saluto con reverenza tutti i Pippo Baudo dello startup show business italiano e avviso gli organizzatori di tali eventi che anche io sono un giullare nato e costo molto meno dei soliti presentatori. Costo solo 100 euro l’ora. Ho però un difetto: faccio domande e pretendo risposte. Mica sono un giornalista. Sono solo un ex-startupper.

andrea@elestici.com

S-blogger a tempo perso e imprenditore a tempo non retribuito.

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