Intervista a Pichi, uno squalo gentile e serio, forse anche eunuco… mentre Ceci fa melina…
Alcuni giorni fa, dopo il mio post su gli squali che dichiarano di voler fare gli interessi delle proprie prede ho mandato a Marco alcune domande per dargli la possibilità di esprimere il suo punto di vista rispetto al tema da me posto. Già che c’ero ho ampliato le domande anche ad altri temi di mio interesse. Marco mi ha subito risposto chiedendomi solo di avere un pò di tempo per rispondere. E’ stato di parola e mi ha mandato tutto. Pubblicherò le sue risposte senza averle prima lette e senza aggiungere miei commenti come un lettore qualsiasi.
Le domande che ho posto a Marco sono le seguenti
- Perché in Italia gli investitori sono sempre gli stessi da anni e cosi poco capitalizzati rispetto ai risparmi disponibili?
- Perché in Italia ci sono cosi tanti incubatori (più del doppio che in UK?) a fronte di molte meno startup?
- Tanti Incubatori fanno bene o male all’ecosistema?
- A cosa servono gli incubatori?
- Cosa differenzia un investitore da uno strarupper?
- Cosa lo accumuna?
- Perché in Italia investitori e startupper fanno parte delle stessa associazione?
- Perché nella vostra associazione c’è un investitore a capo di un’associazione di startup?
- Come riesci a immedesimarti nelle esigenze di uno startupper?
- Come aiutate gli startupper ad evitare investitori di dubbia fama?
- Come associazione cosa fate per aiuiate gli startupper a difendersi dallo strapotere che hanno gli investitori in italia?
- Come supportare le startup che falliscono
- Cosa fate per aiutare le startup a fare business tra di loro?
- Cosa stata facendo per aiutare la startup a raggiungere più rapidamente il break even operativo e quindi l’autosostenibilità?
- Esiste un’alternativa all’exit come destino di una startup. Exit intesa come acquisizione da parte di un competitor più grosso e ricco?
- Cosa ne persi dello startup Show Business Italiano?
- Cosa ne pensi di questa intervista?
- E di quello che penso e scrivo io nei miei post (sentiti libero di insultare, non mi offendo)?
Ho mandato le stesse domande anche a Stefano Ceci, presidente dell’associazione startup turismo che come Marco è un’investitore che dice di fare gli interessi dei suoi associazioni. Stefano ha scelto di fare il politico anche in questa circostanza e invece di rispondere alle domande che gli ponevo ha fatto rispondere all’associazione con un messaggio qui ti riposto:“in Associazione, chi può, contribuisce con il proprio lavoro, con le proprie esperienze e con i propri contatti mettendosi a disposizione degli altri. Questo facciamo, e questo vorremmo continuare a fare con tranquillità ed armonia. Le domande dovrebbero essere poste ad ogni singolo socio, perché ognuno di essi potrebbe rispondere a nome della associazione e su ogni singola questione. Come sai l’Associazione è nata, esiste e continuerà ad esistere finché gli associati crederanno che il significato di rete sia più importante che andare da soli. Il direttivo, il presidente, la segreteria fanno da coordinamento su questa concetto. Le domande, pensiamo siano abbastanza provocatorie …ma del resto questo è il tuo stile. Non ti promettiamo nulla ma potremmo parlarne alla prossima assemblea dei soci, che dovremmo riuscire a fare entro la fine dell’anno, ed in quella sede eventualmente raccogliere le risposte.” A me pare una risposta da politico paraculo ma spero di ricevere presto le sue risposte ed essere contraddetto nei fatti anche perché Stefano è mio socio e ci terrei a che facesse una bella figura invece di continuare a nascondersi dietro in dito.
INIZIO INTERVISTA A MARCO
Perché in Italia gli investitori sono sempre gli stessi da anni e cosi poco capitalizzati rispetto ai risparmi disponibili?
Un mercato limitato ha sempre problemi dal lato dell’offerta e dal lato della domanda. Nel caso del venture capital l’offerta di team di gestione e di opportunità di investimento sconta il sottosviluppo del nostro mercato ed in particolare le conseguenze della cosiddetta “bolla Internet del 2000”. In Italia la cosiddetta “bolla di Internet” per meglio dire la “bolla finanziaria speculativa di Internet” ha avuto un effetto simile ad uno Tsunami. L’Italia ha cancellato quel poco che c’era e che stava nascendo.
Va notato che del Corportate Venture Capital l’Italia un pioniere lo aveva avuto, quell’Elserino Piol dell’Olivetti. “Dopo aver promosso l’ingresso dell’Olivetti nel venture capital, Elserino Piol, direttore Strategie e Corporate development, organizza nel 1983 a Venezia la Giornata Olivetti sul Venture Capital. Il convegno, a cui partecipano 500 imprenditori, banchieri, manager pubblici e privati, docenti universitari e consulenti di management, è anche un modo per celebrare i 75 anni dell’Olivetti. Nella foto, l’intervento di Piol alla Fondazione Cini di Venezia” Fonte: http://www.storiaolivetti.it/fotogallery.asp?idPercorso=593&idOrd=2.Negli anni Novanta, Piol lasciata Olivetti si dedicò completamente al il venture capital ; prima come advisor di società come 4C Ventures e poi dal 1998 come fondatore e chairman di Pino Venture Partners, a sua volta partner dei fondi Kiwi e Kiwi II. Piol finanziò nel 2000 anche l’unico Unicorn Italiano ovvero Yoox Interessante l’intervista del 2008 (http://tech.fanpage.it/elserino-piol-il-venture-capital-per-non-perdere-il-futuro/). Purtroppo non è nata una scuola dietro a Piol senza voler far torti a Gianluca Dettori. Tra i fondi VC in Italia che hanno una storia che ha resistito allo tsunami del 2000 c’è 360 Capital Partners con Fausto Boni. Ci sono pochi Venture Capitalist con una storia individuale ed un track record di successo alle spalle ed ancora meno team che hanno esperienza di lavorare insieme e portare al successo un fondo.
Gli Italiani che detengono grandi ricchezze private finanziarie dimostrano poi di essere da un lato conservatori e con scarsa propensione al rischio ed all’investimento in impresa (del resto abbiamo una Borsa con la capitalizzazione in rapporto al PIL tra le più basse del mondo. Nel 2014 la Borsa Italiana “valeva” il 29% del PIL). In secondo luogo non solo ci sono i “cervelli in fuga” ma anche i capitali in fuga. Al di là ed al di sopra dell’esportazione illegale di capitali vi è una scarsa fiducia nel nostro Paese e nei nostri imprenditori che era un “grido di dolore” che lanciava nel 2008 l’ambasciatore USA in Italia, Ronald Spogli.
Perché in Italia ci sono cosi tanti incubatori (più del doppio che in UK?) a fronte di molte meno startup?
Potremmo cavarcela con una battuta e dire che il confronto tra la cucina Italiana e quella Inglese è lo stesso, noi abbiamo molta più varietà. Potremmo anche spiegarcela con la nostra storia che vede la presenza di Università, Imprese e distretti industriali con proprie specificità nei diversi territori, e potremmo anche dire che la logistica Italiana e la difficoltà di trasporto (provare ad andare dal Tirreno all’Adriatico in qualunque punto ad esempio) favoriscono la necessità di avere strutture diffuse. Queste cose hanno dei perché ma c’è anche una certa tendenza a preferire il mattone e l’immobiliare e ad essere campanilisti.
Dobbiamo dire poi anche che ci sono “incubatori” che sono in molti casi dei puri spazi ufficio, se va bene nella versione più innovativa del co-working ma spesso anche solo in quella di una palazzina uffici.
Tanti Incubatori fanno bene o male all’ecosistema?
La concorrenza fa sempre bene. A patto che poi ci sia la selezione meritocratica. Trovo molto incoraggiante che la classifica UBI Global abbia visto quest’anno i piazzamenti da podio di Poli Hub Milano ed H-Farm (vedi:http://corriereinnovazione.corriere.it/2015/10/28/polihub-ed-h-farm-due-migliori-incubatori-collegati-ad-universita-e4ad8c56-7d35-11e5-b7c2-dc3f32997c8b.shtml ) .
A cosa servono gli incubatori?
Se funzionano bene, servono a facilitare il funzionamento dell’ecosistema dell’innovazione, a far incontrare gli attori dello stesso. Direi che hanno un ruolo di catalizzatore dei processi e di focalizzazione dell’attenzione. Un buon incubatore serve ad abbassare il rischio d’impresa, trasferire esperienze, creareserendipity.
Cosa differenzia un investitore da uno startupper?
Gli investitori sono differenziati al loro interno tra più categorie. Tra queste può valere da riferimento la classificazione del MIT ENTREPRENEURSHIP CENTER che utilizza una matrice tra “esperienza imprenditoriale” ed “esperienza nella industry”, altre classificazioni utilizzano invece come assi “livello di conoscenza della industry / tecnologia” e “coinvolgimento”. Emergono in tal senso figure di finanziatori “passivi” e di finanziatori “angeli guardiani” od altrimenti detti “imprenditoriali”. Le tipologie di investitori vanno da “finanziatori puri” a “co-imprenditori” e vale per gli angel ma anche per i fondi d’investimento con capacità e competenze più o meno “smart money”. Sicuramente gli investitori “imprenditori” sono più vicini culturalmente agli startupper.
Gli startupper appartengono anch’essi a diverse categorie: da “debuttanti squattrinati” ad “esperti seriali con capacità finanziarie”. I due assi principali di “esperienza imprenditoriale / manageriale” e “risorse finanziarie” differenziano anch’essi in maniera significativa gli startupper. Se vogliamo limitarci alla categoria dei “debuttanti squattrinati” la differenza con qualsiasi tipo di finanziatore è chiaramente quella della conseguenza del rischio che viene assunto. Lo startupper rischia di perdere più di quanto può permettersi (finire indebitato e magari con uno stigma di “fallito”), l’investitore rischia (se sa fare il suo mestiere) una quota del suo patrimonio che può “permettersi di perdere” senza che questo abbia conseguenze significative sul suo stile di vita e prospettive.
Cosa lo accumuna?
Nel migliore dei casi li accumuna l’intento di riuscire a creare una nuova impresa di successo. Nella versione più ristretta li accumuna l’obiettivo di generare un ritorno economico finanziario.
Perché in Italia investitori e startupper fanno parte delle stessa associazione?
In Italia ci sono associazioni che riuniscono solo finanziatori come AIFI per i Venture Capitalist ed IBAN per i Business Angel. Poi c’è Italia Startup che non è un sindacato di parte ma un’associazione che vuole favorire la crescita dell’ecosistema delle imprese innovative, e nell’ecosistema ci sono tutti gli stakeholders e gli attori.
Perché nella vostra associazione c’è un investitore a capo di un’associazione di startup?
Chi è a capo dell’associazione è stato eletto da un Consiglio Direttivo che è a sua volta stato eletto dalla base associativa che è ampia e diversificata. L’elezione riguarda una persona con la sua storia professionale e personale ed il programma associativo che propone. L’associazione riunisce le startup ma non solo le startup e quindi può avere o meno un capo startupper. Nel mio caso io mi considero un investitore imprenditore e sono co-fondatore di diverse startup. Il mio profilo LinkedIN è completo e trasparente e tutti possono giudicare che tipo di “animale” sono.
Come riesci a immedesimarti nelle esigenze di uno startupper?
Sono co-fondatore di startup, ho vissuto da Presidente e Consigliere di Amministrazione la vita di diverse startup ed ho passato le mie notti sveglio. Come investitore sono un piccolo investitore, ho lasciato la vita da dirigente d’impresa per abbracciare le incertezze dell’imprenditorialità e dell’investimento in capitale di rischio. Ho già avuto le esperienze di write-off e non ancora quelle del successo dell’exit. Anche io mi faccio delle domande sulle scelte che ho fatte. Mi sento molto vicino agli startupper anche se ci sono delle differenze che ho ben presenti. Questo post per me dice tutto e lo sento come esperienza :http://techcrunch.com/2012/06/14/the-struggle/
Come aiutate gli startupper ad evitare investitori di dubbia fama?
Promuovendo il networking, la cultura e le buone pratiche. Solo uno startupper consapevole può evitare le trappole e valutare la reputazione di un investitore. Se la cattiva fama è davvero tale una due diligence evita le sorprese, e va fatta da entrambi (investitore e startupper), se non è conclamata comunque vale la regola del partner chiacchierato: solo un vero amico rischierà di mettere sull’avviso chi procede accecato. Va detto anche che un investitore può andare bene per uno e non per un altro. In ogni caso la migliore cura è far crescere il mercato e la concorrenza.
Come associazione cosa fate per aiutate gli startupper a difendersi dallo strapotere che hanno gli investitori in Italia?
Onestamente credo che “strapotere” sia un’espressione piuttosto inappropriata per descrivere la categoria. In ogni caso se parliamo di un mercato limitato e piccolo dove tutti si conoscono e c’è un potere negoziale in favore dei pochi che investono questo è un fatto. Tuttavia la questione non è tanto quanto forte è una posizione ma che uso se ne fa. Io credo che uno startupper che fa bene il suo lavoro e che ha un’impresa che vale deve ragionare in termini di allargare le sue opzioni e migliorare le sue opportunità cercando fin da subito una dimensione internazionale. A livello internazionale c’è abbondanza di liquidità e quindi “cash is king” è messo in discussione. C’è più carenza di talenti e buoni team con capacità di realizzare.
Come supportare le startup che falliscono
Prevenendo. Il processo di fallimento è un’evenienza probabile non rara. E’ quindi necessario impostare fin dall’inizio l’eventualità monitorando i parametri vitali del burn rate e del runway (autonomia) e definendo le procedure e le riserve finanziarie. Occorre definire le clausole di “liquidazione” prima e non durante la crisi. Per poter supportare le startup che si trovano in situazione fallimentare occorre definire delle buone pratiche e credo che sarebbe auspicabile far nascere un “ombudsman” per intervenire come arbitro e facilitatore della soluzione di situazioni di crisi tra startup ed investitori. Ma al momento credo veramente che l’unica cosa efficace e possibile nel breve è costruire la cultura del “fail fast” con controllo del processo. Come in laboratorio di chimica gli esperimenti possono fallire ma mica deve esplodere il laboratorio per questo.
Cosa fate per aiutare le startup a fare business tra di loro?
Non sempre è una buona idea cercare come cliente una startup per un’altra startup. Ma sicuramente è un bene confrontarsi ed imparare gli uni dagli altri. Quindi sia perché si sviluppino scambi commerciali che culturali la chiave è il networking e la notorietà. Facendosi conoscere attraverso le schede descrittive e la presenza on-line ed agli eventi associativi le startup collaborano. Diverse collaborazioni ad esempio sono nate lo scorso anno tra le startup partecipanti alla delegazione Italiana ad Unbound Digital a Londra.
Cosa stata facendo per aiutare la startup a raggiungere più rapidamente il break even operativo e quindi l’autosostenibilità?
Non credo che questo possa essere più di tanto lo scopo di un’associazione. Comunque tra le azioni vi sono il sostegno al matching con le imprese in ottica open innovation e l’internazionalizzazione con la strategia enunciata delle 4C Clienti Canali Capitali e Cultura. Perché le startup crescano ed arrivino al BE occorre che il loro business model sia sano, che la loro offerta incontri un’esigenza del mercato e naturalmente che sappiano bene eseguire il piano strategico oltre a raccogliere i capitali necessari. Tutte queste cose sono l’essenza dell’essere imprenditore.
Esiste un’alternativa all’exit come destino di una startup. Exit intesa come acquisizione da parte di un competitor più grosso e ricco?
Si certo, diventare un’impresa autonoma magari con un collocamento privato od un IPO (Borsa). Può anche essere che una startup in progetto, ovvero l’essere un’impresa ad alto tasso di crescita, si riveli essere una micro o piccola o media impresa magari una “life style company”. Per l’investitore è un insuccesso più o meno ampio ma è una possibilità per l’imprenditore. Ma sempre e comunque il destino più comune rimane il fallimento e la liquidazione.
Cosa ne pensi dello startup Show Business Italiano?
Lo show business o star system non è Italiano è internazionale ed è un modello importato. Già nel 2000 qualcuno parlava di vendere pale e picconi ai cercatori d’oro, e sempre è esistito e sempre esisterà chi cerca di fare del business su chi è protagonista. No startup no party, ma gli organizzatori del party e loro guest star tendono a prendere il sopravvento. Questione di maturità degli startupper; decidere se andare o non andare ad un veneto, capire se si fa networking o si inseguono “vanity metrics”, se si aumenta la notorietà e la fama o se ci si illude e si sta soltanto alimentando l’autoreferenzialità. Sono stato in giro in Italia, Europa ed USA e posso dire che i nostri eventi sono sostanzialmente simili a quelli internazionali. Come in tutte le cose la concorrenza fa selezione, la ripetizione fa cadere l’attenzione e comunque qualche volta fare l’esperienza e utile e ciascuno deve fare un percorso e fare le sue esperienze. Anche lo show business ha un suo perché.
Cosa ne pensi di questa intervista?
E’ un’occasione di scambiare qualche pensiero e qualche idea che per me è sempre un’occasione benvenuta.
E di quello che penso e scrivo io nei miei post (sentiti libero di insultare, non mi offendo)?
L’insulto è lontano dal mio stile. Non sono d’accordo su diverse cose che scrivi e per come le scrivi e trovo che talvolta scivoli nel vittimismo e manchi di autocritica. La scelta di discutere in modo allusivo per evitare conseguenze sul piano giudiziario non è a mio parere la migliore. Ci sono casi censurabili ma il rischio è quello dei processi sommari, delle accuse senza difensori e senza giudici. Alla fine c’è il rischio di mettere come dicono gli inglesi “la merda nel ventilatore” e fare di tutto il paesaggio un letamaio. Ci sono situazioni nelle quali il rischio è buttare bambino ed acqua sporca e dare scandalo non giova. Avendo detto questo io accetto il confronto perché delle cose che scrivi ce ne sono io credo di probabilmente inesatte, esagerate e frutto di interpretazione ma l’esperienza di mercato m’insegna che le debolezze ci sono ed anche la startup scene Italiana (ed internazionale) ha i suoi “furbetti del quartierino” in dose normale come normale è la distribuzione della popolazione in ogni fenomeno sociale. Se si dice che addirittura in ogni famiglia c’è sempre qualche pecora almeno grigia e sarebbe ingenuo immaginare che nel gregge del mondo delle startup le pecore siano tutte immacolate. Ci sono casi di persone in malafede od addirittura mariuoli e ci sono casi semplicemente di persone ciniche ed indifferenti alle disgrazie che altrui nella sua ingenuità o incapacità od inesperienza si è procurato. Del resto se si passa indifferenti davanti a migranti annegati perché dovrebbero far pena startupper falliti ? Capita però che lavorare in silenzio serva la causa della virtù meglio che urlare allo scandalo. Ma la democrazia è libera espressione, quindi ben venga ricordando solo che la libertà finisce dove inizia quella dell’altro, ed i processi non si fanno in piazza in una civiltà più avanzata. Per me i tuoi post sono un “grido di dolore” ed al dolore non si risponde con l’indifferenza.
FINE INTERVISTA CON MARCO
Dopo risposte cosi ampie e articolate faccio fatica ad aggiungere un mio commento a caldo. Ho bisogno di rifletterci su. Nei prossimi giorni proverò ad elaborare qualcosa di sensato e, miracolo, di autocritico. Mi permetto di segnalare che tra i degni allievi di Piol c’è Lorenzo Brenta che non a caso nel ’96 creò il primo incubatore Internet Italiano. Ho la fortuna di averlo come amico e socio ma non sono ancora riuscito a convincerlo a rimettersi in gioco di nuovo. Ho provato anche a portalo con me a Fondo Italiano ma quelli non si devono essere accordi di chi avevano seduti al loro tavolo. Beata ignoranza.