Ciò che leggi in un libro non è innovativo; è solo divulgativo.

L’altro giorno una mia amica mi ha chiesto un parere su un libro sul growth hacking che stava leggendo le ho risposto che qualunque cosa ci fosse scritta poteva essere certa che fosse roba ormai “vecchia” rispetto alla frontiera. L’ho sfogliato, ho visto che parlava dei casi come Aribnb e Uber ed ho avuto la conferma della mia affermazione. Si trattava di uno dei tanti libri di management che vengono scritti in Italia prendendo spunto (e spesso scopiazzando) dai casi americani.

Lei ha fatto una faccia strana e mi ha fatto gli elogi di uno degli autori che non conosco come di persona umile e gentile. Non volevo offendere l’autore che fa il suo mestiere di divulgatore, volevo solo farle notare che nessuno che abbia scoperto qualcosa di innovativo e di successo lo metterebbe su un libro a disposizione di tutti. Gli ho fatto il caso delle practice delle società di consulenza che, pur se notoriamente poco innovative, non sono certo pubblicate ma conservate in gran segreto e usate per moltiplicare il proprio business spacciando le proprie offerte come taylor made.

Faccia un po’ più convinta ma non del tutto allora le detto: guarda che non ti sto dicendo che non vale la pena leggerli sti libri, anzi, io mi ci sono formato e li adoravo; ma non ti aspettare di trovarci qualcosa di veramente innovativo. Pensa alla Total Quality degli anni 80, in Italia, fu una novità e chi pubblicò quel libri ci fece una montagna di consulenze ma la Toyota era già andata oltre.

Comincio a convincerla e, quindi, le racconto di quando alla fine degli anni ’80 cominciammo a occuparci di web e poi di e-commerce. In particolare le racconto dei nostri tentativi di scriverci un libro sul come progettare un sito di qualità e come, ogni volta che ci sembrava di aver scritto qualcosa di decente venisse fuori qualcosa di nuovo che lo rendeva obsoleto (ai nostri occhi almeno). Inoltre, noi eravamo troppo impegnati a fare business per trovare il tempo per scrivere con il risultato che alcuni capitoli credo di averli ancora conservati da qualche parte e con orgoglio posso dire che ci avevamo visto lungo, molto lungo sui gloriosi destini del web e dell’e-commerce che (detto tra noi) ora è roba stravecchia (e inutile) ma proprio per questo oggi a distanza di quasi trent’anni c’è un sacco di gente che ci fa soldi con corsi di formazioni, libri e consulenze. E’ un principio di marketing dei più conosciuti e veri:

Compri ciò che riconosci, riconosci ciò che conosci.

Il che vuol dire che non si può vendere innovazione ma solo ex-innovazione ovvero qualcosa che sembra innovativo ma di cui si è sentito già abbastanza parlare da essere riconoscibile e quindi comprabile. Infatti, negli anni ’80 nessuno ci pagava per fare consulenza sull’e-commerce perché nessuno sapeva cosa fosse ne credeva che potesse avere successo.  A pagarci per fare i divulgatori erano la Microsoft ed Oracle che miravano a vendere le loro piattaforme abilitanti.

Ad esempio fu Microsoft a pagarci per fare il sito ecommerce di Mediaworld che proprio non ne voleva sapere di pagare ne di farlo temendo un conflitto di canali… (ora ne vanno orgogliosi e si vandano di essere omnicanale). Li convincemmo realizzando, tieniti forte, dei “virtual coupon” ovvero dei buoni per prodotti super scontati che si potevano acquistare online e presentare in negozio per il ritiro. Nei giorni di promozione si creava una tale fila alle casse che quelli di Mediaworld si convinsero a fare l’ecommerce.

Avremmo potuto scriverci un libro sui virtual coupon ed il loro successo? Su come avevamo portato il sito di AdnKronos ad essere uno dei più visitati in assoluto senza spendere una lira in advertising (usammo un banner dinamico con le news del momento), o di come progettammo il sito Illy che vinse il Web Aword per alcuni anni di fila con tanto di recensione sul New York Times ed un tentativo maldestro da parte di Anna Maria Testa (la figlia di… che seguiva solo l’adverting tradizionale di Illy) di attribuirsene il merito? Saremmo stati dei fessi ed, infatti, non lo fummo ed il libro non fu mai pubblicato.

Morale per la mia amica: leggere fa bene alla mente, leggere i libri di management può essere utile, ma se vuoi essere innovativa ti conviene improvvisare come hanno fatto e continuano a fare tutti i big del web. Per innovare devi improvvisare, tentare vie nuove, non seguire i consigli dei guru e tanto meno quelli dei consulenti o dei mentor.

Se vuoi essere innovativo segui solo il tuo istinto, il tuo talento e le tue intuizioni.

PS: nel caso non si fosse capito mi riferisco ai libri di digital management o simil tali. Qualsiasi altro libro può aprirti la mente e darti spunti formidabili anche se è un semplice romanzo.

andrea@elestici.com

S-blogger a tempo perso e imprenditore a tempo non retribuito.

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