I am what I DON’T do
Stasera sono a casa con i miei figli e mentre loro dormono mi prendo un’oretta per scrivere quattro stronzate invece di lavorare come un fottuto startupper (mancano poche settimane e finirà anche questa fase della mia vita). Sono reduce da una due giorni al Salone dei Pagamenti dove Carmela ed Io abbiamo potuto farci notare senza fatica semplicemente indossando la nostra divisa verde brillante. Intorno a noi erano tutti rigorosamente in grigio o nero, raramente in blu. Giusto Oscar Di Montigny era in camicia bianca. Incredibile come non abbia incontrato nessuno startupper, mentor o qualcosatore; nonostante in quelle sale ci fossero montagne di decision maker con budget multimilionari. Mi dicono che startupper e fauna varia fossero tutti al Palazzo delle Stelline all’ITForum. Magari ne valeva la pena ma noi al salone dei pagamenti abbiamo potuto incontrare alcuni decision maker che rincorrevamo da mesi e gli abbiamo parlato per lunghi minuti e pure fissato incontri a breve senza fare anticamera ne gomitate. Eravamo gli unici. Realmente gli unici outsider ed è stato come fare la volpe in un pollaio. Una pacchia tutto e solo perché noi di Garanteasy non eravamo dove avremmo dovuto essere. Noi avevamo “sbagliato” evento.
Dopo questa lunga premessa veniamo al dunque: mentre andavamo in stazione per prendere il treno ho incrociato più volte il bel faccione peloso di Max Ciociola e quello glabro di altre da me sconosciute signore e signorine. Tutte belle facce che ci proponevamo questo messaggio: “I Am what I do”. Un gioco di parole e di grafica per dire che nel nuovo Huawei ci sta dell’Intelligenza Artificiale. Stesso tipo di intelligenza a cui deve essere ricorso chi ha pensato sta campagna da trogloditi ma non è nemmeno di questo che voglio scrivere stasera. E nemmeno voglio ricordare (ma lo faccio lo stesso) il mio s-post dedicato a Max che esaltava il suo (a me stranoto) talento di fotomodello ora scoperto anche dai pubblicitari ingaggiati da Huawei. Ed, infine, non voglio nemmeno scrivere del fatto che Huawei prima di pensare all’Intelligenza Artificiale si dovrebbe preoccupare di fornire i pezzi di ricambio ai suoi centri assistenza senza far aspettare mesi i consumatori a cui disgraziatamente si rompe uno dei loro intelligentissimi cellulari.
No, stasera voglio scrivere su quanto sia vero lo slogan usato nella pubblicità di Huawei. A leggerlo si capisce benissimo cosa sia e faccia Max Ciociola, lui è, e fa, il personaggio. Lo Startup Show Man. Lo starupper immagine, insomma chiamalo come ti pare che intanto ci siamo intesi. Allora mi sono chiesto che significato avrebbe avuto mettere la mia faccia al posto di quella di Max. Che effetto avrebbe avuto su di me e su chi mi avesse visto appeso per strada o nelle metropolitane. Per darmi una risposta torna utile la premessa iniziale, l’essere stato ieri ed oggi all’evento sbagliato; un evento di bancari e simili, invece, che tra startupper e compagnia varia. Mi torna utile perché ho fatto una scelta palesemente stupida che sicuramente un telefono Huawei non avrebbe fatto. Ho scelto la via meno social, meno cool, meno narcisistica di passare il mio tempo. Non ho fatto la cosa giusta. Non ho fatto come gli altri. Non ho fatto come Max ne nessuno di quelli che lo prenderanno a modello.
Se sul quel cartellone ci fosse la mia faccia vera senza maschera ora avrei perso il mio vantaggio competitivo. La possibilità di comparire in contesti “sbagliati” come quelli del salone dei pagamenti e poter colpire come una volpe nel pollaio senza essere riconosciuto e quindi frainteso. La mia maschera mi protegge dal diventare un personaggio, mi evita di finire appeso ad un muro, mi evita di finire sul palco dei relatori di eventi fini a se stessi. Mi evita di andare ancora in giro a fare il guru come facevo negli anni ’90. In pratica indossare la maschera mi permette di Essere ciò che NON FACCIO; ovvero di NON fare come tutti gli altri e, soprattutto, come gli altri si aspettano che io debba fare visto il mestiere che faccio.
Diventare un personaggio come Max, Oscar o anche il pur simpatico Rudy Bandiera sembra una figata, un privilegio, un premio ma è una disgrazia. Più diventi famoso e ti riconoscono per strada, o anche solo agli eventi del tuo ambiente, e più diventi schiavo del tuo personaggio della tua fama. Di quello che il tuo pubblico si aspetta tu faccia o racconti. Non hai più modo di essere te stesso e sei costretto a comportarti come si addice al tuo personaggio. Indossare una maschera, invece, ti permette di conservare la tua identità più profonda. Ti permette di sorprendere i tuoi interlocutori con il tuo pensiero invece che stordirli con la tua fama. Ti permette di convincerli con la sola forza delle tue argomentazioni.
Io ho la sfiga di avere un cognome assurdo e unico quindi mi capita spesso che, al momento di dare il mio bigliettino, qualcuno mi associ a questo s-blog e quindi al personaggio mascherato. MI capita che mi guardino stupiti e mi chiedano ma tu sei ELESTICI, quello con la maschera? Mi capita è vero anche spesso quando frequento gli eventi “giusti”; ma, rispetto a Max, Oscar o Rudy ho il vantaggio di potermi svelare a posteriori, di poter misurare la forza delle mie idee e proposte senza che siano mascherate dalla fama dell’uomo mascherato. Fama limitata a pochi e di dubbio valore ma pur sempre ingombrante in certi contesti.
Io, a differenza di Max, Oscar e Rudy posso essere ciò che non faccio. Sembra un gioco di parole ma non lo è perché io posso fare ciò che nessuno si aspetta io possa o voglia fare. Io posso essere nel posto sbagliato agli occhi di tutti ma in quello migliore per il mio business. Posso essere in sala ad ascoltare invece che a parlare. Posso osservare ed imparare. Io posso cambiare senza che nessuno se ne accorga. Io posso essere ciò che non faccio. Posso fare la cosa sbagliata, io si posso fare la cosa sbagliata e, di questi tempi, in cui ti misurano anche i peli del naso è un privilegio riservato a pochi e ben mascherati.
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