Cosa c’è dietro il “caso Userbot”?

Per puro caso mi sono trovato coinvolto in questa faccenda ben prima che diventasse un caso. Per la precisione il 25 giugno scorso Germano Milite mi scrive dicendomi di essere stato bannato da Jacopo Paoletti a causa di alcune sue domande scomode riguardo alcuni messaggi lanciati da Userbot durante il fund raising su Mamacrowd.

All’inizio ho pensato che fosse una roba risolvibile mettendo in contatto Jacopo e lui perché si chiarissero ed il giorno dopo, un pò controvoglia, ho pubblicato un post su Linkedin in cui cercavo di sistemare la cosa: ” Caro Jacopo Paoletti per favore mi puoi spiegare perché hai bannato Germano Milite? L’impressione che se ne ha é che tu non voglia rispondere alle sue domande. Preferisci che a fartele sia io? O non sai come rispondere? Germano è uno cazzuto ma proprio per questo dovresri essere felice di rispondergli. Mica è un hater. Mica è uno s-blogger. Mica è un cretino.. insomma che hai da dire? O da nascondere?”

Jacopo ad onor di cronaca mi ha subito risposto via wapp ribadendo le sue ragioni: “L’ho bloccato perché tutte le informazioni che cerca sono online e ha solo voglia di fare polemica”. Ho cercato di fagli cambiare idea ma non ci sono riuscito e mi spiace di non avergli parlato di persona ma quando mi ha chiamato ero dal medico poi me ne sono scordato. Ero impegnato a fare una della mie solite campagne antileghiste. Jacopo però non se ne sta buono buonino come dice, anzi si mette a provocare…

Il 2 luglio mi richiama Germano per dirmi che Jacopo gli ha fatto pure pervenire una diffida e me ne manda copia. Non proprio il modo migliore per non fare polemica o disinnescare uno come Germano. Infatti il giorno dopo Germano pubblica la sua indagine e scoppia “il caso Userbot”. Investitori in allarme, campagna sospesa e tentativi di porre rimedio alla frittata. Si cerca di ridimensionare il caso prima che il dubbio travolga tutto e tutti.

Il dubbio? Quale dubbio?

Il dubbio che nessuno controlli la qualità e affidabilità delle informazioni che vengono date ai potenziali investitori durante le campagne di equity crowd funding. Che i portali se ne freghino di cosa vanno a raccontare in giro le startup pur di completare la raccolta. Che a nessuno importi chi si faccia una chiara distinzione tra ciò che c’è e ciò che si vuole realizzare. Che non ci sia nessuna differenza tra startup e scale up, tra un software in fase alfa, beta o già testato e consolidato. Che nessuno controlli se i clienti citati come tali lo siano realmente, che i casi di successo lo siano realmente. Che il team abbia realmente quelle competenze ed esperienze.

Un dubbio terribile che riguarda migliaia di investitori che hanno dato i loro soldi a startup di cui non hanno nemmeno guardato il business plan ma solo il video e l’home page del sito. Investitori che sono stati trattati come limoni da spremere. Polli da spennare senza alcun riguardo delle più elementari regole di comunicazione finanziaria che ti obbligano ad informare in modo preciso e corretto le persone a cui vai a chiedere soldi per un investimento ad altissimo rischio come quello in una startup.

Ed è qui il punto. E’ questo che cercano di nascondere in modo maldestro i difensori d’ufficio di Userbot come David Casalini di Startupitalia che si è scomodato a fare un suo editoriale in loro favore prima ancora di aver almeno sentito Germano. Per poi ergersi a giudice supremo ed invitarlo ad un confronto pubblico. Proprio senza pudore. Disgustoso.

Non lo hai capito? Non hai capito perché Casalini si sia erto a paladino di Userbot? Perché cerca di nascondere una verità molto scomoda per tutto lo startup show business di cui fa parte a pienissimo titolo e ci fa pure i soldi. La verità che lui ed altri cercano di nascondere è che è un reato fare fund raising raccontando palle agli investitori anche se si tratta di boccaloni che investono 250 euro guardando solo il video e la home page del sito. Il fatto che vi sia in giro della gente che investe i propri risparmi come se li giocassero alla roulette non fa venir meno l’obbligo di dare informazioni veritiere sullo stato delle cose. Non si possono usare parole e referenze a vanvera come se fosse una recita parrocchiale. E’ un reato penale e ancora nessuno lo dice.

Nonostante questo rischio su Mamacrowd ancora oggi si può leggere: “Userbot è la più grande scaleup italiana di sviluppo di tecnologie di Intelligenza Artificiale.” e poi ancora “Userbot ha sviluppato una piattaforma online basata su tecnologie proprietarie e brevettate di Artificial Intelligence in grado di automatizzare i processi aziendali, come Customer Service, Help Desk interno, Marketing Automation e Lead Generation, e di imparare dalle risposte e dai comportamenti degli umani migliorando le proprie performance. “

Hai letto bene, sul portale di Mamacrowd c’è scritto che Userbot è una “SCALEUP” e che “HA SVILUPPATO una piattaforma” ovvero Userbot è in piena fase di sviluppo anche internazionale del business ed ha una piattaforma già funzionante e testata che genera ricavi mensili ricorrenti in continua crescita anche su mercati internazionali.

SONO BALLE? O VERITA’?

Userbot è sicuramente una startup che sta sviluppando la propria tecnologia, ha del fatturato e dei clienti ma mi pare evidente che sia ben lontana dall’essere una scaleup e dall’aver completato lo sviluppo della propria piattaforma. Sta raccogliendo soldi proprio per questo quindi su Mamacrowd si presenta raccontando… balle o la verità un pò enfatizzata?

Se fossero balle qualcuno dovrebbe assumersene la responsabilità e, infatti, molti cercano di sviare il problema perché ciò che ci sta dietro il caso Userbot non è chi abbia ragione tra Jacopo e Germano, tra Giarusso e Germano, tra StartupItalia e Germano, Tra Gellify e Germano, tra Mamacrowd e Germano ma, bensì, chi controlli la qualità della comunicazione che viene fatta dalle startup in fase di fund raising. C’è qualcuno che abbia spiegato a questi signori che è un reato raccontare balle ai potenziali investitori? Un reato penale? O sono stati lasciati liberi di “enfatizzare” a piacere la realtà fino a renderla poco credibile?

A troppi fa comodo far finta che il problema sia come funzioni il software di Userbot mentre il vero problema è capire se qualcuno verifichi le informazioni divulgate “in maniera un pò enfatica” pur di raccogliere capitali. Pur di raggiungere l’obiettivo e incassare la commissione.

Sappiamo tutti che per una startup è il futuro ciò che conta ma questo deve essere chiaro a chi decide d’investire. Deve sapere con chiarezza e precisione ciò che è già realtà e ciò che sarà, forse, realtà grazie anche ai suoi soldi e al lavoro degli startupper.

Qui non c’è in gioco la campagna di Userbot ma la reputazione dell’equity crowd funding e di parte dell’ecosistema (almeno quello sano che fa succedere le cose). Tutto il resto è cortina fumogena.

La domanda ancora senza risposta è chi controlla la veridicità di ciò che viene proposto agli investitori sulle piattaforme di equity crowd funding?

CHI CONTROLLA LA COMUNICAZIONE AGLI INVESTITORI?

Quando si comincerà a parlare di questo tema allora il caso Userbot prenderà la sua giusta dimensione che non è quella di crocifiggere Giarusso, Paoletti o Milite ma di chiamare alle proprie responsabilità chi è stato autorizzato da Consob a gestire campagne di Equity Crowd Funding. Responsabilità che non riguardo solo Mamacrowd ma tutte le piattaforme che fanno raccolta a strascico con soglie minime d’investimento senza informare accuratamente gli investitori e selezionare solo quelli che sono realmente consapevoli di ciò che stanno facendo.

Se, finalmente se ne parlerà, e soprattutto si farà un’operazione di pulizia e trasparenza allora “il caso Userbot” sarà servito a qualcosa e finalmente vedremo premiato sia chi ha fatto succedere veramente le cose, sia chi sa comunicare meglio ciò che vuole fare in futuro. E mi auguro che tra questi meritevoli, per aver fatto e/o comunicato, ci sia pure Userbot (quella vera non quella che si spaccia per scaleup).

andrea@elestici.com

S-blogger a tempo perso e imprenditore a tempo non retribuito.

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