Israele terra promessa delle startup?!
Quando ci hanno comunicato che Garanteasy era stata selezionata per partecipare al GoForIsrael ho subito pensato all’ultima volta che ero stato a Tel Aviv in piena Intifada. Praticamente una città militarizzata, con le spiagge inaccessibili per il filo spinato. Palazzoni prefabbricati tutti uguali, in gran parte malandati. Insomma una città brutta come un quartiere periferico di una città russa. La gente faceva fatica a trovare un lavoro e i miei amici di allora furono costretti ad emigrare in Alaska per mettere su famiglia. Non c’erano locali ne ristoranti se non quelli per super ricchi controllati come fossero delle Banche. Mentre prenotavamo i biglietti e l’albergo mi chiedevo quanto fosse vero ciò che si legge in giro riguardo Tel Aviv e la sua vita notturna ma, soprattutto, del suo ecosistema di startup tanto spesso citato come modello in Italia dagli espertoni in materia.
Tanto per cominciare due parole sul GoForIsrael che è in Italia non si è mai vista ed è facile capire perché essendo una conferenza internazionale riservata ad investitori veri e alcune startup. Non stiamo parlando d’investitori alla IBAN ma di gente che gli investimenti li fa realmente e di taglio minimo da 1 milione di dollari. E chi l’organizza sta conferenza? Il David Casalini d’Istraele? Lo SMAU del Medio Oriente? Un gruppo editoriale? Ma degli advisor!!! Degli advisor ed investitori (Catalyst e cukierman) veri con sedi in mezzo Mondo e che mica campano di eventi e sponsorizzazioni ma sulle commissioni che si prendono grazie ai deal che si chiudono tra i partecipanti alle loro conferenze. Già deal, hai letto bene, perché mica si partecipa per ascoltare Montemagno fare il fenomeno sul palco. Si partecipa per fare deal. Nel caso delle Startup per raccogliere capitali mentre per gli investitori per definire accordi di co-investimento o exit o altro ancora. E questa è una prima grande differenza rispetto all’Italia dove le startup devono pagare per “farsi vedere e premiare” da guardoni e dai soliti noti e stranoti. Ed ecco i numeri dell’edizione di quest’anno:
“780 participants, over 100 Israeli companies, 300 guests from abroad and 400 1:1 meetings“
Gli organizzatori dell’evento da veri business man, prima di poter acquistare il biglietto per partecipare ci danno da firmare una bel contrattino in cui ci impegnamo a riconoscere il 5% sui capitali raccolti altrimenti non ci ammetterebbero alla possibilità di fissare degli incontri 121 con gli investitori. Firmiano il contratto ed esattamente 15 giorni prima della conferenza ci attivano l’account per fissare gli incontri. Impresa non facile considerato che sono registrati centinaia d’investitori di varie nazionalità. Per fortuna a Londra abbiamo il nostro Mauro Cuccu a fare questa indagine ed a contattarli. Nel frattempo fissiamo qualche incontro con investitori Italo-Isrealiani che senza troppe fisime ci fissano un appuntamento per la Domenica prima della conferenza.
Si parte il venerdì perché il sabato sarebbe stato “impossibile” arrivare a Tel Aviv e già in aereo la prima sorpresa. Seduto accanto a noi un uomo sulla qarantina che incuriosito dalla nostra felpa aziendale comincia a farci domande. Scopriamo essere un startupper anche lui con ben tre exit alle spalle e che ora ha una società in cui fa consulenza d’innovazione alle grandi aziende vere come Unilever . Ci offre subito il suo aiuto e ci dice di chiamarlo senza problemi che in Israele è normale aiutarsi tra startupper ed è facilissimo fare networking. Proprio come in Italia..
Arriviamo a Tel Aviv e non riesco a riconoscerla tranne che per l’immutabile Hilton Hotel che però ora sembra roba vecchia rispetto a tutto ciò che lo circonda. Abbiamo una stanza con vista su Hilton Beach (non certo all’Hilton ma in un struttura poco distante e molto più economica) dove ci sono decine di sufisti. Ovunque sfrecciano persone in monopattini e bici elettriche condivise. Le spiagge, un volta chiuse per paura che degli attentatori arrivassero dal mare, ora sono tutte aperte e attrezzate. Ci si può fare il bagno anche a dicembre (io l’ho fatto senza muta). Spariti tutti i posti di blocco ed i militari armati ad ogni angolo. Un sacco di locali ovunque, gremiti di persone ed anche a Jaffa (zona araba) tutti i locali sono aperti e ci si va tranquilli. I palazzoni grigi stile sovietico ci sono ancora; m,a molti sono stati demoliti per far posto a grattaceli e quartieri residenziali extra lusso con appartamenti a partire da solo 3.5M di dollari…
Sabato ce lo passiamo al mare ed in giro per la città usando il bike sharing della città in cui ci sono ovunque piste ciclabili. Indossiamo shorts e maglietta. Gente che fa jogging, passeggia, gioca a beach volley, pesca. Ovunque c’è il wifi gratuito quindi nemmeno attiviamo il roaming dati. Insomma Tel Aviv è diventata una specie di paradiso terreste nonostante Israele sia in perenne stato di guerra e sotto assedio.
Domenica facciamo i primi incontri con potenziali investitori e partner, al Wework Sarona (anche secondo la loneley planet è il centro pulsante dell’ecosistema startup Israeliano), e ci fanno il primo complimento: “sembrate una startup Israeliana, avete un progetto globale” e poi un secondo “e non ragionate da Italiani che finisco per fare le solite PMI eccellenti ma limitate”. Ci dicono anche che qui è quasi impossibile fare fund rasing per startup non israeliane perché gli investitori hanno incentivi pazzeschi dal Governo che co-investe cifre astronomiche. Però possiamo sicuramente trovare partner di business attivi in tutto il mondo. Ormai, dopo 15 minuti, siamo in confidenza, faccio la domanda del secolo: “E’ vero che gli investitori Israeliani sono velocissimi a decidere? Perché in Israele non sei un uomo se non sai decidere in 24 ore?”. Mi guarda perplesso e mi risponde così: “Non saprei dirti per gli altri investitori ma nel nostro caso, inizialmente, avevamo un comitato d’investimenti all’italiana che ci impiegava anche tre (3, dico 3, TRE) settimane a decidere. Lo abbiamo dovuto cambiare perché ci era capitato di dover entrare a valori più alti perché altri avevano già investito più velocemente.” Proprio come in Italia…
Il lunedì eravamo nella sala della conference alle 8. Puntualissimi come gran parte dei partecipanti. Una sala congressi d’albergo. Già al desk l’aria cominciamo a parlare con un Investitore Turco e poi uno francese. Nella Hall dell’evento ci sono sette desk di cui il più grande, al centro, è quello degli organizzatori. Semplici tavoli tra cui uno della Francia ed un altro del Lazio che espone un gran numero di depliant turistici in Italiano. Immagino servano ad attrarre investitori. Tra i depliant anche delle slide sulle attrattive del Lazio come regione più innovativa d’Italia dal titolo molto accattivante: “Invest in Lazio”. 34 slide!!! Proprio un elevetor pitch… che si concludono con un “All road lead to Rome“… Avresti mai creduto che le millenarie buche delle strade di Roma potessero diventare un’attrattiva per investitori internazionali? In effetti si dice che quelli coi soldi amino giocare a Golf… e, infatti, sul tavolo erano parecchi i depliant dedicati ai campi del Lazio.
Inizia la conferenza e in sala ci sono tavoli da 8 persone. Noi siamo seduti vicini al family officer turco e, per caso, anche ad un tavolo di Italiani. Dietro di noi almeno 5 o 6 tavoli occupati da investitori asiatici. Tra gli italiani non scorgo nessuno startupper di mia conoscenza. A dir vero non scorgo proprio nessuno di mia conoscenza mi paiono tutti romani de Roma. Ascoltiamo i numeri strabilianti dell’ecosistema Israeliano e poi andiamo a fare il nostro primo incontro 121 con un investitore Israeliano. 15 minuti. Sapeva già quasi tutto di noi ma ci ha fatto tutte le domande di rito; Infine, ci ha chiesto se avessimo intenzione di trasferirci li perché se lo avessimo fatto lui era interessato a prendere in considerazione il nostro deal. Erano passati esattamente 12 minuti. Gli altri 3 li abbiamo passati a parlare delle sue ultime vacanze in Italia.
Ritorniamo in sala dove alcune startup Israeliane stanno facendo i propri pitch di 1 minuto e mezzo ciascuno. Roba interessante, presentata sempre in un ottimo inglese. Ma ciò che più noto è il respiro globale delle iniziative che è testimoniato dalla caratura dei clienti e dei partner citati ed anche dalla composizione dei team che spesso è composta da gente con i capelli bianchi. Il programma della conference è di una puntualità imbarazzante. Nessuno show, nessun influencer o fenomeno da palcoscenico alla Montemagno. Solo relatori che parlano di business, startup e investimenti.
In sala siamo gli unici con maglia e logo aziendale e capita piuttosto spesso che ci fermino per chiederci di cosa ci occupiamo. Di startupper Italiani neanche l’ombra mentre ne individuiamo alcuni francesi. A fine mattina decido di chiedere agli organizzatori di indicarmi dove siano gli altri Italiani. Mi rispondono che avrebbero dovuto venire alcune con ICE- ITA ma poi ICE non le ha più portate. Scopriamo di essere l’unica startup italiana presente alla conferenza mente ci sono almeno una decina di funzionari tra cui uno di ICE che Carmela riconosce essere uno degli organizzatori del GlobalStartupProgram. Io proprio non me lo ricordavo e vado pure a stringergli la mano convinto che possa aiutarci ad orientarci in quel contesto. Invece il tipo fa l’offeso e si gira dall’altra dicendomi qualcosa riguardo le relazioni in corso. Non ho capito se fosse offeso per le mie critiche al GlobalStartupProgram o per il fatto che ci siamo pagati noi tutte le spese per Israele invece che aspettare che fosse ICE a farlo. Bo, che dire? Un degno rappresentante del GlobalStartupProgram e di ICE che sono tanto attivi a raccontare storielle sui social quanto inerti nell’aiutare le startup Italiane che vogliano fare business all’estero.
In compenso gli organizzatori della conferenza si fanno in quattro per farci parlare con quanti più investitori e potenziali partner possibili e alla fine della giornata ce ne andiamo via proprio soddisfatti. Da Italiano e contribuente mi chiedo cosa fossero li a fare tutti quei funzionari pubblici considerato che nessuno di loro ci ha nemmeno degnato di una parola ne si sono mai offerti di aiutarci nonostante fossimo l’unica startup Italiana presente. L’unica spiegazione che mi sono dato è che non sapessero come farlo non essendo proprio abituati a relazionarsi con investitori veri come quelli presento al GoForIsrael.
In conclusione, Israele è sicuramente un esempio di come potrebbe diventare l’Italia se l’ecosistema fosse gestito da gente di business invece che da organizzatori di eventi, canta storie e affitta spazi e se in Italia ci fossero politici e funzionari pubblici che avessero veramente la capacità e la volontà di aiutare la startup. Succederà mai? Se guardo in casa ICE-ITA ne dubito assai ma girandomi verso il Polihub, pubblico anch’esso, qualche concreta illusione me la faccio pure io. Peccato solo che a Milano non ci sia il mare altrimenti chi ci penserebbe mai ad andare a Tel Aviv. Io nooooooooo! Certo che nooooo! ma proprio nooo? Perché no? Quasi quasi…
PS: Ho appena scoperto chi è il funzionario di ITA Startup Agenzia ICE che, invece di aiutare le startup a fare business all’estero, si offende per le critiche e si gira pure dall’altra parte quando uno gli rivolge la parola. Si tratta di Claudio Pasqualucci. Un cuor di leone ma, soprattutto, uno molto professionale nel suo lavoro.
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