Open Innovation alla maniera svizzera…

Ho scritto altre volte dell’open innovation all’italiana fatta quasi esclusivamente di premi, formazione dozzinale e soprattutto tanta, troppa comunicazione. Ora posso finalmente scrivere, per esperienza diretta come mio solito, dell’open innovation alla Svizzera. Roba che a raccontarla non ci si crede. Bisogna finirci dentro per rendersi conto dell’abisso che ci separa dai nostri cugini d’oltre frontiera. Parlo di abisso perché non bastano le Alpi a marcare le differenze. 

Ne racconto io perché i guru dello startup show business nostrano sono troppo impegnati ad incensare clienti, amici e se stessi per voler approfondire il caso piuttosto unico e significativo della Zurich Innovation Championship. Forse troppo unico e significativo per notarlo. Quindi ve lo racconto io come funzionano le cose in Svizzera ed, in particolare, in Zurich, che è una compagnia presente in 210 paesi, ha oltre 56.000 dipendenti e un utile operativo che supera i 5,7 miliardi di dollari… hai letto bene. 

Preparati che sarà un racconto lunghetto ed a tappe scritto mentre attendo che nasca il mio V figlio Enea nell’atrio del Sant’Orsola.

Abbiamo partecipato alla competizione internazionale indetta da Zurich dopo aver letto che per i vincitori avrebbero messo a disposizione 100.000 dollari (EQUITY FREE!!!) per prototipare la soluzione proposta. Mai vista una cosa del genere in Italia? Al massimo, vedi OFFICINA- MPS, ti pagano qualche trasferta per fare bella presenza e foto a favore di stampa e social. Nello stesso periodo avevo anche dato un’occhiata al bando dell’acceleratore CDP-FINTECH e, chissà come mai (?!), non avevamo partecipato. Non abbiamo nemmeno mai partecipato alle competizioni dell’Italian Insurtech Association e non credo serva dire che l’idea di vincere qualche consiglio (a gratis wow!!!) non è che fosse molto stimolante. 

Francamente non ricordo quando completammo l’application ma ricordo che, quando ci comunicarono di essere stati selezionati tra le 220 finaliste (su 2762 candidate), per poco non perdemmo l’occasione per un semplice fraintendimento tra me e Carmela: io pensavo rispondesse lei e lei che lo facessi io. Risultato: ci hanno chiamato per sapere che intenzioni avessimo e così siamo stati ammessi alle fasi successive altrimenti nisbsa!.

La selezione proseguiva su base nazionale e qui sono cominciate le sorprese e le differenze rispetto alle competizioni nostrane. Prima ancora di fare il nostro pitch alla giuria ci hanno fissato una serie di call di approfondimento in cui ci hanno chiesto di mostrare la nostra soluzione, spiegarne il funzionamento, fare delle demo e descrivere in che modo avremmo potuto supportare o ampliare il business di Zurich. Una call ogni 2 o tre giorni e di almeno un paio di ore ciascuna. Dopo alcune settimane di analisi e discussioni abbiamo fatto il pitch per la selezione nazionale. Per una volta devo riconoscere che i feedback ricevuti prima del pitch sono stati utili e forse anche per questo abbiamo vinto la competizione nazionale e siamo stati ammessi alla competizione globale in cui eravamo rimaste in 52 startup.

Anche nella fase finale sono continuate le call di approfondimento e demo con un gruppo sempre più ampio di referenti internazionali, molti dei quali ora ci seguono nel programma di adoption. Tutti avevano un solo obiettivo: metterci nelle condizioni di valorizzare al meglio la nostra proposta alla giuria che, questa volta, era composta dagli executive della compagnia. Insomma ci tenevano a fare bella figura pure loro selezionatori. Anche in questa occasione ho fatto il mio solito pasticcio. Avevo, infatti, inteso che il pitch sarebbe durato 15 minuti + 5 di domande. Invece era esattamente il contrario e pochi minuti prima dell’inizio ho sforbiciato la presentazione riducendola all’essenziale. Risultato: ho improvvisato il pitch, come mio solito, e ci ho impiegato 4 minuti scarsi. Le domande invece sono durate ben oltre i 15 minuti previsti. 

Se sono qui a scriverne è perché abbiamo vinto! Vinto addirittura nella sezione “re-imagine insurance” ovvero quella core per il business Zurich. Unica startup Italiana tra le 12 vincitrici in gran parte USA, Israeliane, una tedesca, una svedese ed una degli Emirati. Notizia da nulla, una startup italiana dell’Insurtech che vince una competizione internazionale di questa importanza. Talmente ordinaria come notizia che nessuna delle testate dello startup show business nostrano l’ha notata e ancora meno ci ha fatto caso l’associazione di settore: la super comunicativa IIA. A dimostrazione che, in Italia, la via della meritocrazia (senza padrini, corporazioni e sponsor) anche solo riconosciuta (non dico valorizzata) è ancora molto lunga ed in salita.

Alla vittoria è seguito un periodo di preparazione e definizione del contratto che regola l’uso dei 100.000 dollari messi a disposizione. Su questo punto posso dire che i loro avvocati o consulenti non è che si siano impegnati un gran che infatti abbiamo dovuto chiarire e negoziare molti punti alquanto imprecisi. Comunque grazie alla mediazione dei nostri legali ci siamo riusciti a firmare la nostra totale dedizione agli interessi di Zurich per 13 settimane almeno. Scherzo ma più o meno questo era il senso del contratto anche se la realtà supera l’immaginazione.

Durante le fasi di selezione, memori delle esperienze fatte presso Startupbootcamp a Londra, abbiamo più volte abbiamo fatto presente che non avremmo partecipato volentieri ad un programma di accelerazione con i soliti corsetti e la demo day finale. Ci hanno sempre rassicurato che non si sarebbe trattato di nulla del genere ma mica ci avevano detto cosa ci aspettava… e qui viene la sorpresa.

Loro chiamano programma di accelerazione una serie di attività che durano tredici settimane (il mio numero fortunato) divise in tre fasi gestite con sprint settimanali in perfetto stile agile. Le fasi sono: desirability, feasibility e viability. Fin qui quasi normale se non fosse che al pre-kick off in call c’erano già più di 50 referenti zurich coinvolti oltre ad una schiera innumerevole di consulenti. La prima settimana ho provato a censire tutti i nostri referenti coinvolti ma, arrivato a 59, ho desistito perché nel tentativo di censire chi stesse parlando non seguivo ciò che dicevano. Dopo quasi 6 settimane ho individuato un cluster di circa 20 referenti con cui abbiamo a che fare ogni settimana a cui si aggiungono i vari specialisti e consulenti. 

Mi sto perdendo nei dettagli mentre vorrei soffermarmi sul senso di queste 13 settimane che loro chiamano di accelerazione e che io avevo erroneamente pensato avessero come soggetto principale il nostro business mentre, in realtà, riguarda i loro processi decisionali che non sono proprio snellissimi considerata la dimensione dell’azienda e le implicazioni che potrebbero esserci ad affidare lo sviluppo di una nuova linea di business ad una startup che non si dimostrasse all’altezza della sfida (globale!!!). In pratica queste 13 settimane servono al management di Zurich per creare le condizioni perché il top management possa decidere se adottare o no quando proposto dalle startup vincitrici. Di fatto ogni settimana ci sottopongono ad una due diligence diversa ed a dei veri e propri stress test i cui mettono alla prova un aspetto diverso del nostro modello di business ma soprattutto la nostra tenuta psicologica. 

Di fatto ci hanno sequestrato come in un reality tipo “isola degli startupper” misto “temptation island”. In alcune settimane ti torturano con analisi estenuanti ed interrogatori del tipo: dimostrami a che serve la ruota!! E tu ti senti come Troisi che cerca di spiegare cosa sia un treno a Leonardo da Vinci.. .in altre settimane ti mostrano le irresistibili forme di vita all’interno di un gruppo internazionale con oltre 150 anni di storia in cui i manager non si perdono un solo Ponte ed ogni venerdì ti raccontano dello spensierato weekend che faranno mentre tu sai che lo passerai a lavorare ed userai i Ponti per recuperare il lavoro arretrato…

La tortura più subdola però, è quella in cui si comincia a parlare di soldi e, non a caso, se la tengono per la fase finale di viability che ufficialmente non è ancora inziata ma che noi, ribelli come sempre, abbiamo anticipato. Che unità di misura pensi che si usi quando si fanno i piani di business con un’azienda che ha un utile operativo di 5.7 miliardi di dollari ed i cui top manager vivono in una delle città più care al mondo? La mille euro o la centinaia di milioni di euro? Quando per accorciare i numeri del foglio xls devi usare il “/1.000.000” a cosa pensi? A quanto sia bello far parte dell’ecosistema italiano in cui se dichiari di voler fare un business globale ti prendono per matto? In cui ti chiedono senza vergogna il fatturato prima ancora di aver capito il modello di business? In cui gli investitori  per darti 200K euro ti chiedono business plan mensilizzati a cinque anni e di accettare un accordo d’investimento di 48 pagine (più allegati) in cui di fatto prometti di essere un loro servo della gleba e con te anche tutti i tuoi soci, figli e parenti? 

Ti rendi conto della tortura di un programma serio in cui non basta dedicare 4 key person su 6 per fare ciò che serve nei tempi previsti dal programma? Un programma in cui appena alzi la mano ti ritrovi una schiera di consulenti a disposizione. Hai un dubbio? E ti organizzano la call con il super esperto mondiale? Ti rendi conto dello stress? Io, settimana scorsa, ho dichiarato forfait ed ho passato il testimone della fase feasibility ai miei soci e, ora, ho di nuovo il tempo di cazzeggiare su linkedin e farmi invischiare nelle dinamiche asfittiche del nostro ecosistema. In questo modo mi rilasso e penso a quanto sia più facile predicare che fare. Parlare d’innovazione invece che farla. Elaborare business plan invece che fare business. Ah quanto è rilassante l’inconcludenza dell’ecosistema italiano. Una vacanza.

andrea@elestici.com

S-blogger a tempo perso e imprenditore a tempo non retribuito.

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