Come sopravvivere all’open innovation: lesson learned e consigli pratici

AMORE e DELUSIONE

Il mio rapporto con l’open innovation é piuttosto altalenante. Sono profondamente innamorato e convinto dell’idea che ne ispira i principi ma sono altrettanto deluso di come l’ho visto applicare in concreto. Talmente innamorato che alcuni anni fa sono stato tra i promotori e redattori del manifesto303030, proprio a favore di una migliore applicazione di questa practice.


LA PROMESSA DELL’OPEN INNOVATION

La promessa di qualsiasi programma di open innovation é che corporate e startup si facciano una “bella serata romantica” e che da ciò ne nasca una relazione stabile e soddisfacente per entrambi. La “bella serata” promessa può essere più o meno gustosa, piacevole e veloce; ma, in ogni caso, di sesso godurioso si dovrebbe trattare. In altre parole, di proficue attività in cui si mettano a fattor comune risorse di vario tipo per farne un uso creativo e soddisfacente (vedi remunerativo) nel piú breve tempo possibile ed al minor rischio possibile. Questo “gioco ad incastro” dovrebbe svolgersi in un clima di collaborazione, rispetto e valorizzazione; quanto meno paritario e reciproco, se non orientato a favore delle startup coinvolte in quanto le apportatrici della ragione ultima per cui le corporate le cercano e selezionano: idee innovative se non addirittura soluzioni innovative già funzionanti o pronte per esserlo. 

CONSULENTI, GURU e METODOLOGIE VARIE

Tutte le call di open innovation e gli innumerevoli guru e consulenti in materia non fanno che raccontare di quanto sia meraviglioso l’accoppiamento tra startup e corporate quindi mi pare legittimo farsi delle aspettative “libidinose” a riguardo (libidine=business). Nella realtà dei fatti, però, sono pochissimi i programmi open innovation realmente libidinosi e, soprattutto, a misura di startup; ovvero, che riescono a concretizzare ciò che viene promesso. La ragione di ciò risiede in varie cause tra le quali il palese conflitto d’interesse in capo a consulenti che gestiscono questi programmi. Salvo lodevoli eccezioni, la maggior parte di essi hanno tutto l’interesse (e l’obiettivo) di allungare il brodo il più a lungo possibile pur predicando velocità e semplicità. Allungare il brodo, ad esempio, con programmi di accelerazione super articolati altro non è che un modo per vendere più giornate di consulenza, infatti, un vecchio trucco, sempre in voga tra i consulenti, è quello di rendere complicate cose che dovrebbero essere semplici inventandosi metodologie di accelerazione che di semplice e diretto non hanno proprio nulla. 

1a LESSON LEARNED: troppa metodologia rende insostenibile (per le startup) l’open innovation. 

MANAGER e DECISORI

Quindi tutta colpa dei consulenti se i preliminari tra startup e corporate durano troppo? Magari! Consulenti e metodologie non possono neutralizzare gli effetti di una cultura aziendale poco orientata all’innovazione e, più in generale, all’ascolto e condivisione. Loro possono solo cercare di convincere manager e decisori a cambiare approccio o anche solo atteggiamento. Se, infatti, i decisori e manager sono abituati a sfruttare senza remore i propri fornitori come vuoi che si comportino con delle startup? Pensi siano disposti a mettersi a negoziare e ascoltare, pur anche a pagare il giusto? O, invece, cercheranno d’imporsi compiacendosi pure della propria (pre)potenza, dell’essere dalla parte del vincente, di quello grosso, muscoloso e ricco?

2a LESSON LEARNED:  il successo di un programma di open innovation dipende in gran parte da fortunate congiunzioni astrali che mettono insieme le persone giuste al momento giusto, dalla qualità professionali (tecniche, manageriali e decisionali) delle persone coinvolte, ma soprattutto, dall’onestà intellettuale con cui vengono fatte certe promesse (vedi scopata etc). 

ONESTA’ INTELLETTUALE e PROPENSIONE AL RISCHIO

A proposito di onestà intellettuale e le promesse fatte per convincere le startup a partecipare ad una call: in quanti casi si può onestamente sostenere che una corporate possa offrire un programma di accelerazione a delle startup? A mio parere ed esperienza i programmi di accelerazione offerti dalle corporate, oltre ad essere una manna per i consulenti hanno, in realtà, il principale e forse anche unico scopo di accelerare i propri processi decisionali generalmente lentissimi. E allora lo dicessero ONESTAMENTE che i mesi di accelerazione che si vogliono propinare alle startup selezionate (un eternità) sono accelerati solo rispetto ai loro “normali” tempi di selezione, decisione, negoziazione e contrattualizzazione di un nuovo fornitore che, infatti, si misurano in anni. 

3a LESSON LEARNED: non farsi illusioni sui programmi di accelerazione offerti dalle corporate, non hanno nulla a che fare con quelli offerti dagli acceleratori puri.

CONSIGLI (GRATUITI) per le CORPORATE

Riguardo alla metodologia d’accelerazione mi permetto di dare qualche consiglio alle corporate ed ai loro consulenti:

1) non tutte le startup sono in fase early stage quindi smettela di offrire a tutte programmi da incubatore o poco più

2) Nel caso vogliate usare lo schema più in voga al momento (vedi desiderability, feasibility, viability) almeno invertite le fasi in modo che prima di perdere un sacco di tempo a riscoprire la ruota (vedi desiderability di un prodotto o servizio già sul mercato) meglio, prima, mettersi d’accordo su come ci si divideranno i ricavi se mai ci saranno o su quanto la corporate intende pagare i servizi/prodotti della startup. Senza un accordo economico che senza ha proseguire? 

3) basta pitch! A che servono nel contesto di un programma di open innovation? Se la startup è stata selezionata, magari tra migliaia di concorrenti, si presume li sappia fare! Dategli, piuttosto modo e tempo di approfondire la propria proposta. Non si tratta di dare premi in base a delle slide ma di fare business o no?!

QUALITA’ MANAGERIALI e CARRIERISMO

Abbiamo capito che quando una startup vince una selezione per un programma di open innovation con accelerazione deve mettere in conto di dover perdere in sacco di tempo per aiutare sti poveri manager a prendere decisioni più velocemente e senza prima proteggersi il fondo schiena in tutti i modi possibili e immaginabili. Fare innovazione, infatti, significa prendersi dei rischi, farlo da founder significa prendersi dei rischi enormi, farlo da manager solo alcuni ma pur sempre più di quelli richiesti nella normale gestione del proprio ruolo. Ho anche verificato, purtroppo, che innovation manager e venture builder possono essere d’impedimento invece che supporto, usano le innovazioni portate dalle startup per fare carriera o comunque per mettersi in bella mostra con i capi ed impedendo alle startup di confrontarsi direttamente con i decisori. Li capisco, queste funzioni tanto in voga mi ricordano i quality manager degli anni ’80, esistono ancora? Hanno fatto mega carriere o sono rimasti in staff di qualche altra funzione? E poi diciamolo a che servono tali figure in un’azienda che abbia l’innovazione nel proprio DNA e che fine possono fare in quelle che vivono di rendite di posizione o che si compiacciono della loro posizione attuale?

4a LESSON LEARNED: la carriera personale dei manager viene prima dell’innovazione e del supporto alle startup.

RIMBORSI, COMPENSI e BUDGET

Ed ora passerò a trattare l’argomento più spinoso: i compensi ed i rimborsi spesa per le startup che partecipano ai programmi di open innovation. A me pare onesto e doveroso che siano pagati almeno quanto i consulenti che gestiscono i programmi se non di più perché altrimenti coinvolgerle invece di avvalersi dei soli super innovativi consulenti? Sono o non sono le startup a portare innovazioni eccezionali che giustificano selezioni su scala nazionale se non addirittura globale? E allora perché dovrebbero lavorare a gratis? Condividendo idee, insite e know-how sicuramente rilevanti se non unici? E non bastano i rimborsi forfettari se poi il programma di accelerazione, o adoption che sia, si articola in decine se non centinaia di call, incontri, presentazioni che ogni volta innescano attività di approfondimento. Non basta proprio la logica del “fix price” se le attività ed i deliverable richiesti non sono prestabiliti e limitati. 

5a LESSON LEARNED: non partecipare a call che non prevedano un budget consistente anche per la sola partecipazione al programma stesso.

REGOLAMENTI e CONTRATTI

Fa un (bel) pó strano che si parli di open innovation e poi leggere nei regolamenti che la corporate di turno richiede di avere la proprietà di quanto ideato grazie alle proposte delle startup selezionate. E c’è da sperare che il regolamento sia completo e di non dover scoprire, solo dopo la selezione, che per partecipare al programma la startup deve firmare un contratto capestro secondo il quale sarebbe obbligata a fare tutto ciò che gli viene richiesto, nelle modalità ed i tempi decisi arbitrariamente dalla corporate. Non é fantasia, è vita vissuta. Capita anche questo purtroppo, sono contratti in cui devi accettare di diventare una sorta di servo della gleba in cambio di quattro spicci e dell’onore di lavorare con la corporate di turno. E, per una volta, non me la voglio prendere con i soliti italiani fuffaroli, posso ben dire che nemmeno all’estero le cose funzionino proprio come ci si aspetterebbe, ovvero con trasparenza, correttezza e rispetto. Negli ultimi anni, infatti, ho analizzato i regolamenti di decine di call e solo pochissime erano degne di partecipazione e comunque, anche per quelle, le brutte sorprese non sono certo mancate.

6a LESSON LEARNED: leggere (e far leggere al proprio avvocato) molto attentamente i regolamenti senza farsi illusioni di buonismo perché l’interpretazione corretta è quasi sempre la più penalizzante per le startup.

OTTIMISMO VS PESSIMISMO

Sento ancora tanti (troppi) guru e consulenti che orbitano intorno all’open innovation predire cose mirabolanti per il futuro anche se alcuni cominciano a lamentarsi che il mercato sia inflazionato e pieno di fuffa. alcuni, pochi a dire il vero, so per certo che hanno capito che non serva a nulla propinare programmi di accelerazione o formazione alle startup ed offrono invece attività di co-desing che si completano in pochi giorni di lavoro full time alla fine dei quali si arriva subito a definire POC, MVP o contratto di collaborazione. Questo è sicuramente l’approccio migliore per le corporate che vogliano realmente fare business con le startup mentre quelle che vogliono solo fare finta temo che continueranno a starsene sul loro piedistallo ed a pagare consulenti e guru che massaggiano l’ego dei loro manager facendoli credere aperti all’innovazione se non addirittura innovativi.

CONCLUSIONI

Resto e voglio restare un inguaribile ottimista e sperare che il mercato spazzi via i fuffaroli facendo emergere consulenti e corporate (i guru mi hanno proprio stufato ) che sappiano fare veramente innovazione in modo aperto e collaborativo con le startup.

W L’OPEN INNOVATION VERA E SINCERA

andrea@elestici.com

S-blogger a tempo perso e imprenditore a tempo non retribuito.

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